Piero Gurrieri, il suo ricordo di Giovanni Falcone

L'avvocato vittoriese, già assessore e vice presidente di Avviso Pubblico, racconta il "suo" Falcone

Redazione
23/05/2017
Attualità
Condividi su:

L'avvocato vittoriese Piero Gurrieri, già assessore, ha pubblicato sul suo profilo Facebook il suo ricordo di Giovanni Falcone. Ecco cosa ha scritto: 

Conobbi Giovanni Falcone ai tempi della FUCI, appena laureato in Legge, quando gli chiesi, nel suo ufficio palermitano, di partecipare ad un dibattito a Catania da noi organizzato. Parlai a lungo con Lui, che accettò l´invito. Il convegno si tenne ai Salesiani di Catania e ad esso parteciparono oltre 500 persone. Tra gli ospiti, anche altri protagonisti di quegli anni, come padre Ennio Pintacuda, Leoluca Orlando, Franco Cazzola, l´arcivescovo di Catania Luigi Bommarito. Presente anche Radio Vaticana con numerosi collegamenti. Per la prima volta, grazie a uomini come Giovanni Falcone, la Chiesa siciliana fu durissima con Cosa Nostra, parecchi anni prima della scomunica di Agrigento, ad opera di Papa Wojtyla.

Ricordo Giovanni come una persona normale, sorridente. Un amico dei giovani e dello Stato. Ero orgoglioso di potergli stare accanto, anche se per pochi minuti. Poi la strage. Quel maledetto 23 maggio 1992, sulla autostrada A29, nei pressi dello svincolo di Capaci, a un passo da Palermo persero la vita Giovanni Falcone, Francesca Morvillo, e tre agenti della scorta, Vito Schifani, Rocco Dicillo, Antonio Montinaro. Era una domenica pomeriggio, di una giornata particolarmente assolata: chi era stato con i propri familiari in campagna, chi al mare, chi nelle attività normali di una giornata come le altre, ma destinata a creare un grande vuoto e a lasciare un enorme segno, prima di tutto nelle nostre coscienze, ma anche nella stessa storia della nostra Repubblica. Le immagini dei telegiornali, le edizioni straordinarie, ci raggiunsero con una potenza e una drammaticità pari quasi all´attentatuni.

Ci sentimmo scossi, umiliati, vinti. Piangendo Giovanni Falcone, che alcuni di noi avevano anche conosciuto, un amico delle istituzioni e un amico dei giovani, piangendo l´amore tra lui e Francesca, piangendo quei ragazzi, uccisi solamente per aver compiuto il loro dovere di poliziotti. In quei giorni, anche in Sicilia, tranne i mafiosi, non ci fu nessuno che chiamò i poliziotti "sbirri". Neppure i delinquenti comuni. Nei giorni successivi, il cordoglio per i caduti, e per le stesse istituzioni dello Stato che non erano riusciti, o non avevano voluto, difendere la loro vita cominciò a lasciare spazio alla speranza. L´attentato aveva svegliato finalmente, in modo totale, profondo, le coscienze della società civile, dei giovani in particolare. Con il loro coraggio, con la freschezza della propria anima, i ragazzi avevano finalmente compreso che quello era il loro momento, che il silenzio, che da sempre ha fatto gli interessi delle mafie, era mafia, e che invece bisognava gridare, come Peppino, che la mafia è una montagna di merda.

Ecco l´albero di Giovanni Falcone, ecco le navi e le carovane della legalità, eco Libera, ecco i cento passi di istituzioni coraggiose, di associazioni coraggiose, di uomini coraggiosi in ogni angolo del paese. L´eredità di Giovanni Falcone è scritta in quel libro che tutti dovrebbero leggere, Cose di Cosa Nostra: "La mafia, lo ripeto ancora una volta, non è un cancro proliferato per caso su un tessuto sano. Vive in perfetta simbiosi con la miriade di protettori, complici, informatori, debitori di ogni tipo, grandi e piccoli maestri cantori, gente intimidita o ricattata che appartiene a tutti gli strati della società. Questo è il terreno di coltura di Cosa Nostra con tutto quello che comporta di implicazioni dirette o indirette, consapevoli o no, volontarie o obbligate, che spesso godono del consenso della popolazione", ecco le Sue parole. "Perché rievoco questo episodio?" -scriveva in un altro passo - "Perché dimostra ancora una volta quanto siano abili, decisi, intelligenti i mafiosi, e quanta capacità e professionalità è necessaria per contrastare la violenza mafiosa. La mia grande preoccupazione è che la mafia riesca sempre a mantenere un vantaggio su di noi". Si riferiva alle istituzioni. "Possiamo sempre fare qualcosa" - continuava" - "massima che andrebbe scolpita sullo scranno di ogni magistrato e di ogni poliziotto" ma "Io temo che la magistratura torni alla vecchia routine: i mafiosi che fanno il loro mestiere da un lato, i magistrati che fanno più o meno bene il loro dall´altro, e alla resa dei conti, palpabile, l´inefficienza dello Stato".

Così è stato, purtroppo, e così sia vero quella tragica profezia di Giovanni: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perché non si dispone delle necessarie alleanze, perché si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere". Lui non si era mai fatto condizionare: "L´importante non è stabilire se uno ha paura o meno, è saper convivere con la propria paura e non farsi condizionare dalla stessa". Abbiamo onorato la memoria di Giovanni Falcone, e degli altri Caduti? Di certo, le cronache di questi giorni sono angoscianti. Insieme a quanti hanno fatto il fanno ogni giorno il proprio dovere, anche magistrati e avvocati con una predisposizione naturale al crimine. Tra prescrizioni "facilitate" e sentenze "aggiustate", c´è stato anche chi ha resuscitato i morti per poterci lucrare. "Ciò che può costituire reato per i magistrati non è la corruzione per denaro: di casi in cinquant´anni di esperienza ne ho visti tanti che si contano sulle dita di una sola mano. Il vero pericolo è un lento esaurimento interno delle coscienze, una crescente pigrizia morale», scriveva nel 1935 il giurista Piero Calamandrei nel suo "Elogio dei giudici scritto da un avvocato".

A ottant´anni dalla pubblicazione del pamphlet, però, la situazione sembra assai peggiorata. La diffusione della corruzione nella pubblica amministrazione ha contagiato anche le aule di giustizia che, da luoghi deputati alla ricerca della verità e alla lotta contro il crimine sono diventati anche occasione per business illegali. Questo è disonorare la memoria di quanti hanno dato la propria vita per le istituzioni. Rispetto a questo, le istituzioni dello Stato dovrebbero essere particolarmente severe. Come accade con la legge Severino, anche nella magistratura chi ha sbagliato, anche se non colpito da un verdetto definitivo, dovrebbe essere immediatamente rimosso, perché la moglie di Cesare non deve solo essere, ma anche apparire, casta. Ma questo ancora non accade in Italia.

Durante la commemorazione di Falcone nell´aula magna del Palazzo di Giustizia a Milano, un pm accusò: "Voi avete fatto morire Giovanni Falcone. Con la vostra indifferenza. Con le vostre critiche... Voi lo avete infangato. Voi diffidavate di lui. E adesso qualcuno ha pure il coraggio di andare ai suoi funerali". Parole che oggi si rivelano come molto attuali. Che riguardano tutti e non risparmiano quasi nessuno.

Piero Gurrieri, avvocato

Leggi altre notizie su Vittoria Daily
Condividi su: