Un dialogo appassionato sull'italiano, la sua storia e il suo presente La lingua che usiamo dice molto di noi e del modo in cui stiamo nel mondo. Parlare e scrivere in maniera corretta e adeguata significa esprimere a pieno la propria personalità e instaurare rapporti migliori con gli altri. Per questo, l’italiano può essere considerato come un luogo di formazione individuale e collettiva. Il punto di partenza per un percorso che non riguarda solo la sfera intellettuale e culturale, ma anche una dimensione che andrebbe definita a pieno titolo civile. In questa conversazione con Giuseppe Antonelli, Luca Serianni torna su alcuni nuclei centrali della sua attività di grammatico e di storico della lingua: la norma e l’uso, l’insegnamento scolastico e universitario, l’italiano della poesia e del melodramma. È un libro dal tono affabile, ricco di aneddoti, che ci offre nuovi e originali spunti di riflessione. Davvero quella dei nostri ragazzi è la generazione venti parole? L’italiano sta per diventare itangliano? Ha ancora senso studiare le lingue classiche? Usare il dialetto è un bene o un male? La grammatica si va impoverendo? E quanto conterà , per la lingua del futuro, la rivoluzione telematica degli ultimi decenni? Un dialogo appassionato sull'italiano, la sua storia e il suo presente: la sua importanza per la vita della nostra comunità e delle nostre istituzioni. Si dice, un po’ retoricamente, «historia magistra vitae»: anche la storia della lingua può insegnarci qualcosa della vita di oggi all'interno della comunità e della società ? Può avere un valore civile? Ovviamente la mia risposta non può che essere sì. Intanto, è un’occasione per riflettere su un aspetto centrale di qualunque nostro modo di rapportarci al mondo esterno che è la comunicazione. Il modo in cui noi comunichiamo dice molto di noi, di quello che pensiamo e che sappiamo ed è fondamentale, questa volta in termini di cittadinanza, per stabilire rapporti cooperativi con gli altri esseri umani: rapporti il più possibile – diciamo pure – civili, degni di un civis, appunto, degni di un cittadino. Quindi è fin troppo banale dire che l’aggressività verbale è qualcosa che va represso, come va repressa in generale l’aggressività fisica. Io non ho nessuna resistenza a fare l’elogio dell’ipocrisia, se per ipocrisia si intende non dire sempre quello che pensiamo: molte volte pensiamo cose che non vanno dette e che persino noi stessi dopo qualche tempo vorremmo non aver dette. Questo è il grande rischio, lo sappiamo bene, dei social: serve un filtro, e possiamo essere solo noi a crearlo in noi stessi, tra quello che si agita nel nostro confuso animo, e quello che scriviamo, postiamo e che, come si dice, diventa virale. Ma la riflessione sulla lingua può esercitarsi anche su singole parole che, nel corso dei decenni, hanno cambiato il loro statuto. Pensiamo a signorina, una parola che evoca mondi completamente diversi rispetto a cinquant'anni fa. Signorina non si riferiva solo alla donna giovane, alla ragazza, come oggi – ma anche alla donna nubile. La donna si caratterizzava, in primo luogo, sull'asse sposata / non sposata, tan'’è che una domanda che le donne dai trent'anni in su, se il loro stato civile non fosse evidente, si sentivano fare dall'uomo di un tempo era: «Buongiorno; signora o signorina?». Oggi questa domanda ci farebbe naturalmente ridere o irritare e se vediamo una settantenne la chiamiamo «Signora!», senza entrare in quelli che ci appaiono suoi affari privati. È un segno veramente dei tempi, che parte da una parola banale, che ha cambiato non tanto il significato in sé quanto il riferimento al contesto socio-culturale. Dalla storia di una singola parola alla storia del costume, della sensibilità comune: mi pare un percorso di un certo interesse. Il parlare è un atto che si fa con assoluta spontaneità , come respirare o bere. Normalmente, se non abbiamo qualche patologia (anche solo un forte mal di gola), non pensiamo: «Adesso come devo fare per mandare giù questo sorso d’acqua?». È così, anche quando parliamo, ci sembra ovvio, naturale che sia così. Ma forse si può pensare, se vogliamo essere ottimisti, che una riflessione sul mezzo espressivo modifichi il modo di parlare, e anche di comportarsi, delle singole persone, a partire dalla scuola. In qualunque rapporto di tipo latamente didattico si getta un seme che poi, come dice il Vangelo, può dare diversi frutti a seconda di dove i semi cadono. PICCOLO ELISEO Via Nazionale 183 – 00184 Roma Lunedì 21 ottobre ore 19.00 Ingresso libero fino a esaurimento posti Prenotazioni sulla piattaforma Eventbrite: https://eliseo-cultura-incontro-serianni.eventbrite.it