"Frida. Frida la regina, l’artista. Frida figlia della rivoluzione. Frida l’india, che di indio nel sangue aveva solo tracce, il resto era un miscuglio di razze. Frida gamba di legno, Frida la poliomelitica, Frida dai molti amanti, uomini e donne. Frida ritratta dal marito in camicia rossa, mentre distribuisce armi al popolo. Frida la militante, Frida la comunista, Frida seguace di Trockij, che poi sono io. Frida il fiore che stava per sbocciare, e che sbocciò, all’improvviso, lasciandoci tutti senza respiro. Certe notti, nella canicola umida che stagnava nelle stanze della casa Azul, la Casa blu che ci ospitò per quei tre anni in Messico, che poi altro non era che un’ala della casa di Frida e di Diego Rivera suo marito a Coyoacan, facevo rotolare sulla lingua le lettere del suo nome come chicchi di spezie, o bocconi della carne degli dei, le snocciolavo ad una ad una, godendomi il sapore: effe, erre,i, d,a.

Frida era protagonista delle mie notti, anche quando non c’era. Ci vedevamo di giorno, in casa di sua sorella Cristina, era difficile imbastire un sotterfugio che ci regalasse una intera notte fuori di casa… per cui la notte era il luogo del sonno mancato, del desiderio e dei pensieri. Mi rigiravo nelle lenzuola sudate, cercando un sonno che non veniva, e scandivo sulla punta delle labbra le lettere del suo nome, come grani di un rosario: Frida la sfacciata, Frida la silenziosa. Frida la casinista, Frida l’anima delle feste. Frida che canta Malaguena a squarciagola, Frida che fa la ruota in mezzo ai ballerini, ma non ci riesce per via di quella gamba infelice, ma intanto tutti hanno visto che non indossa l’intimo, Frida la donna di acciaio, che non l’aveva spezzata neanche un incidente devastante in autobus, quando aveva solo 18 anni..."