Si avvicina l'estate, si avvicinano gli appuntamenti elettorali e si torna a porre l'attenzione sulla carenza idrica nella città . Viene segnalata da più parti la mancanza d'acqua anche nelle zone periferiche e si chiede di fare di più di quanto il servizio idrico comunale non faccia già , si ottiene quale risultato immediato l'aumento delle autobotti comunali al servizio dell'emergenza oltre a interventi di riparazione circoscritti ai luoghi delle segnalazioni.
Tralasciando le accuse e le recriminazioni reciproche dei politici o candidati prossimi su chi faceva di più o non faceva affatto quando poteva, noi cittadini non possiamo non prendere atto che Vittoria, come gran parte della Sicilia, è una città costantemente senza acqua. La carenza idrica è un problema atavico che definire emergenza è un eufemismo. La problematica nasce da una rete idrica in pessime condizioni, da un sistema che affrontava il problema con la tecnica del rattoppo e dalla presenza di interessi privati economici che oggi come ieri hanno impedito di affrontare la questione con obiettività e con la predisposizione di progetti di manutenzione straordinaria efficaci.
E' vero che l'acqua è un bene essenziale di primaria importanza e che come insegnano i vecchi manuali di economia politica, per garantirne la fruibilità a tutti, dati gli elevati costi di gestione, il servizio idrico andrebbe gestito come servizio pubblico, ma quanto possiamo sostenere questo principio ancora oggi nella realtà complessa delle nostre città ? quanto può funzionare il servizio pubblico di fronte alla gestione della cosa pubblica fatta per soddisfare anche gli interessi dei politici di turno e dei loro amici? La nostra vita si è fatta più dinamica, tutti usciamo di casa per lavorare e stare quotidianamente al telefono per chiamare l'autobotte o segnalare tubi rotti sperando di chiamare la persona " giusta" diventa difficoltoso e insopportabile.
D'altronde gli enti locali o i Commissari non hanno le risorse economiche per risolvere il problema con interventi strutturali di rinnovo dell'intera conduttura idrica o di controllo del consumo o dell'approvigionamento; così ci si chiede se non sia il caso che continui la strada per la privatizzazione del servizio idrico? Come consiglierebbero i manuali di economia più aggiornati, non avremmo risultati più soddisfacenti se affidassimo la gestione alle società private con grosse risorse economiche, ad imprenditori con la possibilità di finanziarsi anche discriminando i prezzi e praticando tariffe diverse a secondo delle esigenze dei richiedenti? Queste società debitamente sottoposte a controlli da parte dello Stato, potrebbero avere la forza economica e l'obiettività per garantire infrastrutture moderne e l' equa distribuzione di questo oro blu che è diventata l'acqua. Ci si staccherebbe dai modi e dai pericoli clientelistici e si tenterebbe di risolvere il problema alla radice e con strategie pianificate e efficaci nel tempo. L'Italia dopo il referendum del 2011 sulla privatizzazione della gestione del servizio idrico, aspetta che i governi fermi a Roma facciano proposte concrete sulla questione. In Italia tutto è in mano al pubblico, nei restanti paesi europei, ferme le direttive europee che impongono certi requisiti di qualità standard ed essenziali, il legislatore nazionale è libero di organizzare la gestione del servizio come ritiene più opportuno e utile, così in Germania, Francia e Spagna la percentuale maggiore di acqua erogata è gestita da società privata delegata ovvero da una società interamente privata individuata tramite gara e sottoposta a controlli, mentre la sola parte residua dal pubblico;
nel Regno Unito addirittura prevale la gestione privata diretta ma con tariffe sottoposte a limiti da una autorità governativa indipendente.
E in Italia? Tutto resta uguale a sempre? E' opportuno e rispondente all'interesse collettivo che la gestione sia ancora lasciata complessivamente agli enti locali o a società a maggioranza pubblica?
Il tempo ci darà le risposte, per l'acqua chissà ....