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A Pozzallo, un seminario su giornalismo e migrazioni

Una riflessione su come i media raccontano (sbagliando) il fenomeno

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In questi giorni è in corso il Festival diffuso delle culture mediterranee Sabir, organizzato dall’Arci, con il patrocinio dell’Anci e del comune di Pozzallo, dove si tiene l’evento. Il programma, arricchito da spettacoli artistici, incontri culturali e dibattitti internazionali, ha previsto anche differenti percorsi formativi. Uno di questi, organizzato dall’associazione Carta di Roma, è stato rivolto agli operatori del settore dell’informazione. L’obbiettivo era fornire gli strumenti essenziali alla narrazione mediatica del fenomeno migratorio, per evitare che cadesse – come è già successo – in macroscopici errori e spettacolarizzazioni della tragedia.

Due sono stati i moduli del percorso di formazione – numericamente partecipato, che prevedeva l’ottenimento di crediti formativi. Un primo era incentrato su “Come i media del Mediterraneo raccontano l’immigrazione”. Dopo l’introduzione del rappresentante di Assostampa Ragusa, Gianni Molé, il microfono è stato lasciato a Giovanni Maria Bellu, portavoce dell’associazione Carta di Roma, abile nel chiarire il compito dell’informazione verso la società, riguardo le migrazioni; un intervento che è riuscito anche a sottolineare criticamente le prospettive ristrette, le distorsioni linguistiche, la mancanza di competenze nella descrizione di un fenomeno che è ormai costantemente in prima pagina.

È stato seguito poi dalla dettagliata analisi di Paola Barretta, dell’Osservatorio di Pavia, che si occupa di studiare “i fenomeni ansiogeni nei media (…) e il binomio instaurato tra migranti e paure”. Un ritratto impietoso di come l’informazione italiana in genere e, su tutti, testate come Il Giornale o Tg4, dedichino molto più spazio al tema della criminalità e della sicurezza in relazione ai migranti. Le sproporzioni rispetto ai network europei sono preoccupanti; seguendo il ragionamento della Barretta, i giornalisti italiani non farebbero i conti con “il linguaggio performativo che definisce la realtà”, generando insicurezza e preoccupazione, che minano il complicato processo di integrazione.

Sullo stesso solco il dibattito aperto da Micol Pancaldi, di Copeam, una organizzazione che riunisce più di 15 network di 29 paesi dell’area mediterranea, perché nella cooperazione si possa “meglio riuscire a raccontare la complessità”. La Pancaldi, che sostiene “una forza mostruosa dell’audiovisivo nella narrazione”, si è spesa perché venga “presto superato il cliché dell’invasione”. Anche attraverso la spiegazione del contesto, arricchito da statistiche e dati.

Il secondo modulo era invece incentrato sul “Sistema hotspot e l’accoglienza nel Mediterraneo”. L’intervento di Daniela Di Capua, del Servizio Centrale del Ministero, è stato utile a fornire le coordinate essenziali del sistema di accoglienza che lo Stato italiano ha istituito per i migranti approdati sul territorio. Un’occasione, per i molti che ancora non riuscivano a distinguere tra un Cas (Centro di Accoglienza Straordinaria) e uno Sprar (Servizio di Protezione per Rifugiati e Richiedenti Asilo) ma che ne scrivono con frequenza quotidiana.

Hanno poi contribuito al dibattito, con vivacità e solida preparazione, le parole di Nazarena Zorzella, dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, che ha contestato con forza l’istituzione dei centri di prima identificazione voluti dalla Commissione Europea – di cui uno istituito a Pozzallo. “Sono strutture prive di base giuridica nell’ordinamento italiano”, ha sottolineato la giurista. Strutture in cui, come hanno raccontato Giovanni Maria Bellu e Eleonora Camilli, giornalista della testata Redattore Sociale, è vietato entrare agli addetti all’informazione.

Infine, il resoconto della giornalista freelance ellenica Chrisa Wilkens, che da più di un anno segue ciò che accade tra le isole più vicine alla Turchia, come Lesbos, e il campo di Idomeni, dove un muro arresta la rotta dei migranti in Europa e divide la Grecia da Fyrom. La Wilkens ha anche raccontato di come più di otto mila migranti si trovino da quasi un mese all’interno dell’hotspot di Lesbos, delle proteste e della repressione delle forze di polizia, delle mancanza di supporto umanitario e legale. E soprattutto di come l’accesso nella struttura sia stato ripetutamente negato.

L’incontro si è poi concluso con una presa di posizione netta: la presentazione di un documento, sottoscritto da Carta di Roma, Ordine dei Giornalisti siciliano e Assostampa, per “invitare il ministero a garantire l’esercizio del diritto di cronaca” e quindi consentire l’accesso della stampa all’interno dell’hotspot di Pozzallo. Anche se la Prefettura dovesse autorizzare i giornalisti all’ingresso, sembra scontato chiedersi in quanti, nelle redazioni ragusane, saranno disposti a lasciare le scrivanie a cui sono perennemente legati, per andare a vedere, con i loro occhi, come vengono accolti (e detenuti) i migranti appena approdati nella frontiera della provincia.

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