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Omelia Padre Arena: Solennità di tutti i Santi, il giorno decisivo della vita e 52° anniversario del mio sacerdozio

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Don Enrico Arena festeggia 52 anni di sacerdozio e lo fa svolgendo le sue mansioni. Nel corso dell'omelia del primo novembre scorso, infatti, ha voluto celebrare la ricorrenza di tutti i Santi, ma anche il giorno decisivo della vita ed il suo anniversario di sacerdozio. Queste le sue parole: 

<<La vita è un dono di Dio e, come tutti i suoi doni, appartiene all'eternità. Qui, sulla terra, abbiamo un compito: adempiere la Sua volontà - che è il nostro vero bene - per godere della Sua gioia, da oggi fino all'eternità. Ognuno di noi ha la sua strada da percorrere, ma è già stata tracciata da Dio. Anzi Dio stesso è la nostra strada. Possiamo quindi considerarci pellegrini, ma con una meta fissa: il ParadisoNon sappiamo però quando, con la morte, giungerà la fine del nostro pellegrinaggio terreno. Le persone veramente sapienti - come le vergini sagge di cui parla il Vangelo - attendono l'arrivo dello Sposo con le lampade accese. Si fanno cioè trovare pronte a seguirlo alle nozze. Gesù, a differenza dei "sapienti", si fa per dire "sapienti", di questo mondo, che parlano di un aldilà in... "bianco e nero", o fantasticano di "reincarnazioni", o affermano che con la morte tutto finisce, non c'è nessun "Aldilà", Gesù, ripeto, parla del dopo morte come di una "festa di nozze". Le persone stolte non si preoccupano dell'olio della lampada, troppo prese da altre cose. E così quando arriva lo Sposo si trovano impreparate. Inutile correre ed affannarsi dopo, quando ormai è troppo tardi. Trovano la porta del Regno chiusa e bussando sentono una condanna terribile: "Non vi conosco". Gesù ci avverte che la vita è una continua veglia, che non ammette distrazioni. La vita è davvero una cosa seria! Lo ripeto: La vita è davvero una cosa seriaLa morte non spaventa chi ha vissuto come pellegrino verso il Cielo, anche se occupato in tante cose, che sono la realtà della vita e fanno parte del pellegrinaggio, come l'olio delle vergini. Sono tanti coloro che vivono nell' attesa della chiamata di Dio e non ne hanno paura (ricordare qui l'incontro, nel 1998, tra i giovani nostri, pieni di brividi e quelli del Madagascar, serenissimi e meravigliati dei nostri!). Ma sono troppi quelli che credono di vivere eternamente qui, sulla terra, in questo inferno di mondo, spendendo tutto per raccattare le briciole che il mondo dona. Quando la morte li coglie si ritrovano a mani vuote, con il rischio di sentirsi dire: "Non vi conosco". È vero che c'è chi non vuole neppure pensare alla morte. Ma serve questo bendarsi gli occhi e la coscienza?  Ma ci pensiamo che la nostra sorte ce la giochiamo, ogni giorno, con il nostro modo di vivere? Ha senso un' esistenza vissuta tutta al presente, senza la visione del futuro? Scriveva il papa Paolo VI: "Siamo gente tutta occupata dai desideri e dagli affari di questo mondo, come se noi non dovessimo cercare e amare altro. Non siamo più allenati ad estrarre i valori superiori, che sono quelli connessi al nostro destino eterno. Nessuna età è stata tentata di «temporalismo», come la nostra, cioè di amore verso le cose di questo mondo, come se gli unici e sommi beni da conseguire fossero i beni materiali".  "Le anime dei giusti - ci ricorda il libro biblico della Sapienza - sono nelle mani di Dio e nessun tormento le toccherà. Agli occhi degli stolti parve che morissero; la loro fine fu ritenuta una sciagura; la loro partenza da noi una rovina, ma essi sono nella pace. (Sap 3, 1-3). Non resta che tentare, con tutte le forze, con totale abbandono e fiducia nel Cuore Misericordioso del Figlio di Dio Gesù, morto per salvarci e risorto per portarci con Lui, e nella Mamma Celeste, che ci aiuti ora e ci accolga domani: "Ave Maria, piena di Grazia... prega per noi peccatori adesso e nell'ora della nostra morte">>.

<<Ma oggi- ha aggiunto- non posso non accennare ai miei 52 anni di Sacerdozio: Ho fatto come una scorsa di questi 52 anni e mi sono reso conto del come, il Signore, mi abbia sempre guidato. All'inizio del mio sacerdozio, innamorato del Santo dei giovani, S. Giovanni Bosco e del suo "figlio spirituale" San Domenico Savio, mi dedicai ai ragazzi. Ero nella parrocchia di S. Francesco di Paola a Vittoria, con P. Bella, il sacerdote più umile che ho conosciuto, e pensai seriamente di fare l'Oratorio: un nugolo di ragazzi giunse a S. Francesco. In estate, li portavo a giocare, ogni mattina, al "boschetto" della villa comunale, al fresco degli alberi. Nel pomeriggio, catechesi, proiezione di film, forniti dalla S. Paolo Film, di Catania. Spesso il proiettore si guastava e io dicevo ai ragazzi: "Pregate che io riesca a riparare il guasto!" e i ragazzi pregavano. I guasti li riparai sempre! In inverno, i ragazzi, facevano lavori al traforo con il compensato e, su mio disegno, costruirono il plastico del futuro Oratorio che fu poi regalato a P. Bella, per il suo compleanno. Imparai a suonare anche la chitarra per intrattenere i ragazzi. Fra quei ragazzi ci fu anche un bambino che, un giorno, mi disse che voleva diventare sacerdote come me. E così fu: P. Salvatore Cannata, fu il primo di una serie. Oggi è parroco a Ragusa. Dopo 2 anni di sacerdozio, il Signore mi mandò ad inaugurare la nuova parrocchia della Madonna delle Lacrime, sempre a Vittoria. Ma il Signore aveva in serbo anche un altro progetto. Dopo appena 11 mesi, mi fece la proposta, tramite il Vescovo Mons Pennisi, di andare a far parte dei superiori del seminario vescovile di Ragusa. Il Vescovo mi disse in dialetto catanese: "O siminariu, nun si ci capisci nenti! Contestano tutto e tutti (il famoso '68? Anche). Voglio che tu stia in mezzo ai ragazzi". La mia fu una esperienza forte, bellissima e piena di frutti. Fu lì, che cominciò una delle caratteristiche tipiche del mio sacerdozio che non mi ha più abbandonato: una fila di ragazzi dietro la mia porta, che voleva parlare con me. I ragazzi mi parlavano di tutto, mi aprivano i loro cuori, mi confidavano ogni cosa, anche le cose più intime, chiedevano direzione spirituale, confessarsi. La fila era così lunga che io inventai un piccolo marchingegno. Un marchingegno messo fuori la porta, che segnalava, con tre piccole lampadine: "Occupato", "Libero", "Assente". Con questo marchingegno non c'era più bisogno di stare in fila dietro la porta. Se era accesa la lampadina su "Occupato", significava che era inutile bussare. Divenni, di fatto, il padre spirituale e confessore di quasi tutti i seminaristi e, in seguito, anche di diversi sacerdoti e, alcuni, fino ad oggi. Il Signore mi disse: "Adesso devi dedicarti agli sposi e ai fidanzati. Il sacramento del matrimonio è in serio pericolo!". Mi misi a studiare psicologia e psichiatria "pastorale" a Firenze. All'epoca non c'era ancora in Italia la laurea in psicologia, ma si cominciava a parlarne; a me però non interessava fare il psicologo, ma capire meglio i problemi dei giovani e poi anche dei coniugi, onde poterli aiutare meglio nella direzione spirituale. Fra i professori del Corso di Psicologia, ci fu anche Don Liggeri, sacerdote di Don Bosco, siciliano di Augusta, che aveva fondato il 1° Consultorio Familiare d'Italia, l'Istituto "La Casa" a Milano, nel lontanissimo 1948. Le sue lezioni furono interessantissime. Io pensai subito che era quello che ci voleva. Intanto fui trasferito a Vittoria, con Mons Ferraro, futuro Vescovo. Condivisi con lui l'idea del Consultorio. Lui fu pienamente d'accordo. Nel 1975, i Vescovi Italiani, cominciarono a parlare di Consultori Familiari di Ispirazione cristiana. Con la benedizione del nuovo Vescovo Mons Rizzo e l'unanimità dei sacerdoti della città, mi fu affidato il compito di fondare il Consultorio Familiare a Vittoria. Cosa che avvenne nel 1978. Le Coppie di sposi in crisi, che sono state aiutate a riconciliarsi dal nostro consultorio, sono state decine e decine. Le crisi servono per crescere, non per separarsi! Dopo l'introduzione del divorzio in Italia, con la gioia e la soddisfazione di tutti che adesso si sentivano "moderni", io, nel 1987, scrissi, con la collaborazione delle prime psicologhe e di una psichiatra, una relazione dal titolo: "Separazione, Divorzio e Fedeltà Coniugale, dal punto di vista Sociologico, Psicologico e Religioso" per il Corso di Formazione per Operatori della Pastorale Familiare a Ragusa e a Vittoria. In quella occasione io scrissi: "Scomparirà il matrimonio! I giovani, figli di genitori divorziati, avranno paura a sposarsi e, scattando il «meccanismo» del Feedback, si arriverà che non si sposerà più nessuno!". Questa, brutta "profezia" purtroppo si è avverata in tutto e per tutto, ed è la situazione di oggi. La società è tornata indietro di 2000 anni! P. Arena l'aveva detto e l'aveva scritto nel 1987.  Sposo, Sposa, viene dal latino "Sponsus, Sponsa" che a sua volta viene da "ri-spondere", cioè essere "re-sponsabili", con il divorzio si è diventati tutti contenti e forse, più... "irresponsabili"! Adesso il Signore e la Vergine Maria, con la loro misericordia, mi stanno accompagnando per fare festa, lo spero e prego, con... Tutti i Santi>>.

A padre Arena gli auguri di tutta la redazione di Vittoriadaily. 

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