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Viaggio nelle tradizioni di un tempo: "u strattu"

Memorie del tempo che fu !

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Giugno, mese della raccolta dei pomodori, l’oro verde a cui tanto deve l’economia cittadina; pomodori rosso fuoco, succosi, profumati e soprattutto utilizzabili per molteplici fini e per svariati scopi.

Giungo è anche il mese della festa patronale e delle tradizioni enogastronomiche legate alla fine della raccolta ed alle più antiche tradizioni popolari; è il periodo infatti “do strattu” dè ciappi e do’ capiliatu”

Arti antiche, tramandate da generazioni, con varianti nella preparazione gelosamente custodite dalle nonne e dalle mamme che, mal volentieri, ne rivelano i segreti se non per trapassarle a futura memoria e rigorosamente da “custodire in famiglia”. Gesti rituali che diventavano momenti di festa e gioia per il nucleo familiare e che spesso si condividevano con i vicini, soprattutto in campagna “nte baddi”.

Rivivremo e presenteremo questi antichi gesti a partire dal “fari u strattu", un vero e proprio rito che, purtroppo, potremo definire “in estinzione”, dove tutti avevano un ruolo, dai più piccoli ai più grandi, che comportava un duro lavoro di braccia. un'operazione lunga, dura più giorni e non concede pause o distrazioni, pena la compromissione del prodotto finito.

Si iniziava “co scartari u pummaroru”, sano, rosso, di qualità, preferibilmente naturale e non trattato; andava ben lavato “ne vascuna” e si faceva cuocere a lungo “ ‘nto mienzu aranciu” fino a quando non spappolava; quindi si passava nella macchina a torchio rigorosamente di ferro, con la manovella di legno (oggi molti usano quella elettrica) ottenendone un succo rosso fuoco e profumatissimo.

La salatura, prima dell’essiccazione, avveniva a discrezione della “matriarca” con più esperienza che “a uocciu” riusciva ad azzeccare la dose giusta e sufficiente.

Il succo ottenuto, si distribuiva “na maidda” di legno che veniva posta “n’capu e trispa” al sole e si iniziava a “riminari” per non far rapprendere il pomodoro, farlo respirare e permettere una più veloce evaporazione dell’acqua.

Di tanto in tanto, si andava a controllare per “cacciari i muschi”, ghiotte del rosso succo e “riminare” il prodotto. Dopo alcuni giorni – cioè quando il pomodoro era diventato più denso, gelatinoso e morbido – si spostavano i “maiddi o friscu” onde evitare che si asciugasse troppo e che inacidisse.

Una volta finito il procedimento e dopo svariati giorni, si riponeva il delicato e prezioso contenuto in vassoi e bocce di vetro per poterlo consumare durante l’anno.

Tradizioni che si vanno spegnendo, purtroppo, e che hanno rappresentato per generazioni un momento sociale intenso, quasi suggestivo, figlio di quella economia domestica del non sprecare nulla e di riciclare tutto, nel rispetto dell’ambiente e di ciò che la natura ci offre in abbondanza.

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