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A Ragusa un reading sulla storia di Giuseppe, omosessuale ispicese confinato durante il fascismo

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Il tema dell’omosessualità oggi non è più un tabù: attori, registi, cantanti, uomini e donne dello spettacolo come molti ragazzi e ragazze, fanno coming out dichiarandosi pubblicamente.

Tante le associazioni che operano in difesa dei diritti LGBT come pure molti i diritti riconosciuti – negli ultimi tempi – alla comunità omosessuale, da molti governi e in molti paesi europei, Italia compresa.

Oggi sembra tutto così scontato ( anche se i pregiudizi non mancano), ma non è sempre stato così.

Giovedì 4 gennaio, alle 18, al Centro Servizi Culturali di Ragusa, ci saranno loro, con le loro storie fatte di duro confino perché considerati “socialmente pericolosi nei riflessi della moralità pubblica e sanità della stirpe” di chi veniva allontanato, o peggio arrestato, per “fondati sospetti di sodomia”; ci sarà lui, il protagonista di questa vicenda, Giuseppe, la sua storia, il suo tragico epilogo, il ragazzo omosessuale di Ispica confinato in Basilicata durante il fascismo, nel 1938.

Un reading su Giuseppe per riaccendere i riflettori sulla sua vicenda che è stata, e forse è anche oggi, la vicenda di molti; l’evento è organizzato da Massimiliano Tumino, insieme al gruppo di amici delle Associazioni Nemoprofeta e Try Chancing; durante la serata saranno letti documenti ufficiali e alcuni brani di lettere scritte da  Giuseppe, ma mai recapitate, perché colpite dalla censure del regime fascista.   

Giuseppe P. aveva poco più di 21 anni quando il 24 aprile 1938 la commissione provinciale di Roma lo condannò a cinque anni di confino. Non era da solo. La stessa condanna fu assegnata anche al marchese B. con cui si accompagnava. Ma il marchese, nato a Ispica come Giuseppe ma molto più anziano (era del 1891), non sembra avere espiato neanche un giorno della pena assegnata. Il fascismo condannava duramente l’omosessualità, ma  evidentemente le pene non erano uguali per tutti. Giuseppe non aveva alle spalle una famiglia potente. Era il primo di sei figli e la famiglia, come si legge in un rapporto della prefettura di Ragusa del 15 agosto 1940, possedeva solo una casa e uno spezzone di terreno di 3 ettari. Non aveva i soldi né per curarlo, il ragazzo era ammalato di cuore, né per inviargli il denaro necessario per sopravvivere ad Aliano, il paese in provincia di Matera reso celebre da Carlo Levi in Cristo s’è fermato ad Eboli, dove Giuseppe era confinato. Nel marzo dei 1941 per motivi di salute il giovane ispicese ottenne una licenza che  potrà passare a casa. Non tonerà mai più ad Aliano. Morirà per annegamento a Santa Maria del Focallo  nel luglio del 1941. La morte desiderata, come si legge in una delle sue lettere, probabilmente  era stata deliberatamente cercata.

Sempre presso i locali del Centro Servizi Culturali a Ragusa, continua la mostra “Adelmo e gli altri. Confinati omosessuali nel Materano” di Cristoforo Magistro di Agedo Torino,. La mostra che, è stata allestita nei mesi scorsi nei locali dell’ex distretto di Ragusa Ibla,  ha fra i suoi  partner Agedo Ragusa e l’Archivio degli Iblei oltre all’Università di Catania sede di Ragusa e al Consorzio Universitario Ibleo.

 

 

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