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Fiorellini: Contro la normalizzazione immaginiamo la rivoluzione

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Ritorna la questione israelo-palestinese, quella che tanti hanno considerata chiusa. Ognuno legge ciò che vuol leggere. Chi la inquadra dentro il cosiddetto islamismo radicale, quello che ha giustificato la divisione in due schieramenti le democrazie occidentali che devono difendersi dalle invasioni barbariche e dall’altro tutti gli altri. Gli altri senza distinzioni, gli altri che proprio perché altri possono stare dentro la definizione di barbari e in quanto barbari, terroristi. In questa prospettiva ci può stare tutto, dal blocco navale contro i migranti, alla guerra alle Ong che nel mediterraneo salvano vite. Si pagano gendarmi nel mediterraneo che però si scoprono nemici dei valori democratici occidentali, per lo sgarbo a Ursula Von Der Leyen. Poco importa che mentre abbiamo guardato altrove il nostro gendarme perseguitava gli oppositori, giornalisti, avvocati, militanti dei diritti civili, e come sempre il popolo Curdo. Abbiamo chiuso volutamente gli occhi sui crimini perpretrati contro i disperati nelle galere libiche, abbiamo considerato porti sicuri i porti di quel Paese, abbiamo considerato interlocutori degni gli uomini della guardia costiera libica, poi ci accorgiamo che sparano addosso anche alle nostre imbarcazioni, ai nostri pescatori ai quali esprimo tutta la mia solidarietà, ma anche la mia riconoscenza, perché sono gli stessi pescatori che per rispetto della legge del mare e per istinto umanitario salvano vite umane nel Mediterraneo. Ecco all’interno di questa logica vogliono inquadrare la rinata questione che affligge da decenni quel lembo di terra del Medioriente. Mi spiace tra l’altro come nessuno si chieda come può stare davanti all’ambasciata israeliana anche gente, esponenti politici, che hanno fiancheggiato, coperto, giustificato l’antisemitismo di questi anni. Ecco perché anch’io come Massimo D’Alema sento una certa nostalgia di una forza di sinistra significativa, sento la necessità di non ascoltare parole di circostanza, in molte sedi importanti. Sento l’urgenza di ricostruire un movimento per la Pace, dei diritti civili. Un movimento che guardi alla lotta alle disuguaglianze quale strumento di lettura dei conflitti sociali di cui si autoalimenta il terrorismo a livello globale e i populismi nel mondo occidentale. Un movimento non violento e solidale. Un movimento che viva nelle grandi città, nei piccoli centri, nei territori. Purtroppo in questi anni quelli che potrebbero essere gli eredi di quel movimento a Vittoria sono apparsi demotivati, disarticolati, troppo presi dai loro temi specifici, dal loro particulare, vale per i movimenti ambientalisti, per i gruppi d’impegno sociale e culturale. Così anche la politica è apparsa spesso rinunciataria. Poi può capitare però che incontri seduti su una panchina colorata, posta in Piazza del Popolo a difesa dei diritti civili, un gruppo di ragazze e ragazzi, giovanissimi, li riconosco perché hanno portato avanti un impegno in materia ambientalista, ma ne conosco anche la cultura solidale e libertaria. Non ci diciamo tanto, si accenna un sorriso dietro la mascherina e un saluto, ci facciamo una foto assieme. Tutto dura pochi minuti, ma sono bastati a farmi ritornare ad avere speranza. Non c’era molto da dirsi, perché già essere seduti li, voleva dire tanto, rivendicava l’attenzione ai temi dei quali quelle ragazze e quei ragazzi si facevano portatori. Allora voglio provare a immaginare che la politica e la parte politica, che più mi interessa e la città, non più costrette, a causa di questa lunghissima campagna elettorale, a misurarsi con l’ansia da prestazione degli ultimi giorni, provi a porre al centro del dibattito, accanto ai temi dell’emergenza quotidiana, quei temi che possono servire a fare tornare Vittoria ad essere crocevia culturale e politico nel Mediterraneo e in Europa.

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