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Mancano pochi giorni al voto e cresce la confusione

Il partito dell’ombra ha già in tasca la vittoria

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Mancano dieci giorni al voto. Cammino per le vie della città, le suole delle mie scarpe calpestano, ad ogni passo, sorrisi sbiancati e occhiate ammiccanti che occupano i fac-simile elettorali. Sarà perché il servizio di pulizia delle strade sembra scomparso da anni. O forse perché troppi (elettori o candidati, è indifferente) dibattono di ambiente come fossero portavoce di Greenpeace ma non capiscono che quei volti entusiasti in carta lucida, riversati sui marciapiedi, offendono il decoro della città e, soprattutto, inquinano.

Almeno una volta al giorno, mi strombazzano accanto auto e camper, muniti di casse o megafoni sul tetto. La visibilità del guidatore è messa a dura prova dal manifesto del candidato sindaco a supporto, che supera le dimensioni del cofano e invade il parabrezza. I miei timpani soffrono, all’ennesimo annuncio dell’ennesimo comizio di quartiere, lanciato nell’etere così forte perché lo possa sentire anche l’anziana, rifugiatasi dietro il vetro e la cravatta colorata di Insinna che apre i pacchi in tv a volume altrettanto alto. Mi sforzo di non essere disturbato dal frastuono, indifferente come un uccello ormai sfrattato da uno degli alberi deturpati – che in campagna elettorale bisogna far vedere che si lavora, anche a costo di sostituire un’intelligente potatura con un massacro arboreo.

Tra dieci giorni si vota e il palco, in piazza, è sempre pieno. Almeno uno dei novi aspiranti alla poltrona di sindaco è in centro. Gli altri otto sono in giro, agli angoli delle strade. Tutti tengono il microfono in mano, anche se per alcuni è inutile: gridano così forte rabbia o entusiasmo, che sembrano posseduti da presenze oscure. Ovunque si trovino, sono sempre contorniati da decine di amici e parenti, esigenti e indigenti, portatori d’acqua e aspiranti scalatori, fedelissimi e carrieristi, arrampicatori, persiani giubilanti e plaudenti, mercanti di voti, ricattati e ricattatori, leali portaborse, ultrà e curiosi passanti. Qualcuno, onesto, quasi ingenuo da far tenerezza, lo riconosci perché spaesato nel contesto.

Il numero dei presenti, nei comizi e nelle foto pubblicate sui social, è la vera prova di forza, non si pesano mai i contenuti politici dibattuti. Il tanti li trovi defilati, smartphone in mano, pronti a scattare la foto dalla migliore angolazione possibile: quella in cui la folla degli astanti sembra una massa oceanica e la chiesa delle Grazie pare Palazzo Venezia. Sono davvero tanti i candidati, un esercito di innamorati della città a scadenza quinquennale, riportati in vita prima di ripiombare nell’oblio dei divani casalinghi. Sono così tanti, 445 in tutto, che la proporzione è di un candidato ogni 143 elettori. Uno per ogni famiglia numerosa, che non sia mai che si possa votare secondo coscienza.   

Tra i nove candidati, diverse sono le strategie. Alcuni hanno preferito uno stile moderato, senza attacchi – ma arringando i propri sostenitori con veemenza a muoversi come una falange. Molti si proclamano "vergini", privi di peccato; chi gioca al cavaliere senza macchia (della politica) o alla spietata e coraggiosa donna in affari, fatta da sé, tutta d’un pezzo. C’è chi su un pulpito c’è nato, che aizza, denuncia, urla e si affanna, mentre la vena del collo pulsa e si gonfia. C’è chi sogna, progetta, ricama, scrive, cuce, parla, parla, parla. Nel frastorno, le centinaia di migliaia di parole spese si fondono in un’unica litania confusa. Provo a sillabare, per mettere spazi di comprensione, scandendo il mantra “è la de-mo-cra-zi-a, bel-lez-za”.

Manca poco più di una settimana al voto. E mancano anche i manifesti affissi sugli spazi regolari. Una parete di legno quasi vuota per giorni – che così spoglia, alle scorse elezioni, non si era mai vista. Forse è la rivoluzione tecnologica, e non si spende più in tipografia ma in web-marketing. Forse, mentre soffia il vento dell’antipolitica, in pochi vogliono metterci un faccione invadente ad uso e consumo di piccioni defecanti e passanti incazzati. Cambiano le forme, i modi di fare campagna elettorale.

Una sola cosa non cambia, ogni volta che si vota. Dietro le facce, gli slogan, gli spot e le urla, esiste chi si muove nel silenzio. A Vittoria, dietro i nove candidati a sindaco e i 445 candidati consiglieri, un potentato economico e criminale si muove, fa accordi, finanzia e decide.

Esiste un partito ombra, che non si impegna in prima linea ma delega – come sono soliti fare i vittoriesi –, che detiene gli interessi e non vuole mollare la presa dei suoi artigli. Ciò che ha conquistato, con il sangue e il sudore degli onesti, non può essere lasciato.

È una allargata famiglia che molto traffica e decide in città. Perché questa è una città d’oro e di affari. I suoi affiliati sono tanti, insospettabili, che osservano questa campagna elettorale sereni, con una sigaretta che pende dalla bocca, nella panchina accanto alla mia. Perché già mesi fa, in anticipo, hanno messo mano al portafoglio, pagando più d’uno che avevano subdolamente avvicinato. I suoi membri, la prossima domenica, andranno al seggio come fosse una domenica qualsiasi. Come una domenica di campionato, dove prima delle partite è obbligatorio andare a scommettere. E vedranno quella scheda elettorale come una bolletta, un tagliando di scommessa, forti del loro aver puntato, già da tempo, su ogni squadra che possa dargli garanzie di vincere, di mantenere il loro potere intatto.   

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