“Il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi”. Cosi S. Giovanni conclude il prologo al suo vangelo, dove descrive sinteticamente, ma con profonda conoscenza, i lineamenti che caratterizzano Colui che si incarna. Gesù è il Figlio di Dio, generato eternamente dal Padre, inviato come luce per gli uomini, per rivestirsi della stessa carne umana, per rendere figli del Padre, quanti riconosceranno in Lui il Messia.
Farsi carne vuol dire rendersi visibili, camminare, incontrare, creare relazioni, farsi ascolto. Gesù si fa tutto questo, per tre anni; percorre le strade impolverate degli uomini, cerca con la pazienza di chi ama quanti sono assetati e affamati di libertà. Per ognuno c’è una parola che sa di vita. Ad ognuno porge il suo braccio come sostegno. Per tutti il suo cuore si spalanca per accogliere, confortare, rimettere in piedi, risuscitare.
Tre anni che durano una eternità, tra anni che volano in un attimo, tre anni in cui il mistero del Dio fatto uomo viene svelato, perché ognuno ne assapori il gusto per riempire la vita. Tre ani che si concludono nel modo più umano possibile: un fallimento totale! Una luce che appare e scompare? Un sogno che non lascia traccia? Un’illusione che svanisce nel nulla? “Ho desiderato ardentemente di mangiare questa Pasqua con voi”. E’ l’ ultimo atto prima della fine; quella carne che è venuta al mondo e che ha preso dimora, ritorna da dove è venuta. Ma non tutto finisce.
“Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”. Il Dio incarnato cambia sembianze, si trasforma in un Dio da mangiare. Si fa mangiare, non più attendato, non più tra noi, ma in noi. “Prendete e bevete” il sangue sparso si trasforma in ruscello di vita. Affamati e assetati. Si, siamo un popolo di affamati e assetati! “Chi ha fame, venga a me; chi ha sete faccia altrettanto”. Il grido parte dalla montagna del cuore di Gesù ed è ricolti a quanti, lungo il corso faticoso della vita, si trovano senza forze e spiritualmente disidratati. C’è un Pane che ci aspetta, pronto per essere mangiato.
C’è il fiume scaturito dal cuore di Cristo, pronto ad accogliere quanti hanno sete. “Erano come pecore senza pastore”, assetati ed affamati, si vaga senza meta. “ o voi tutti che siete affaticati ed oppressi, venite a me e io vi ristorerò”. E’ la risposta di chi si accorge della nostra fatica e della nostra debolezza. “Prendete e mangiate”; da tre giorni lo seguivano, dimenticando anche di mangiare, ma Lui si accorge e li fa sedere.
Un numero senza numero. Lui non conta, siamo noi che contiamo per fare i conti. Cinquemila, diecimila. Ce ne è per tutti. Basta sedersi, l’uno acanto all’ altro, farsi popolo, diventare comunità. Al resto pensa Lui. “Prendete e mangiate, questo è il mio corpo”: la mensa è sempre imbandita. Bisogna avere fame di amore, di giustizia, di verità, di libertà. Bisogna avere fame di Dio.
P. Beniamino